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I giovani: come li vedono gli adulti, qual è la realtà tra aspettative e punizioni e perché abbiamo bisogno di una giornata mondiale?

 

La giornata mondiale delle capacità dei giovani: perché ne abbiamo bisogno?

Oggi è la giornata mondiale delle capacità dei giovani, un’iniziativa volta a stimolare l’inclusività sociale e gli stanziamenti per l’istruzione. Istituita nel 2014 dalle Nazioni Unite, fino a qualche decennio fa non era nemmeno pensabile, mentre oggi è un vero e proprio evento globale, e questo ci fa riflettere (al netto delle intenzioni nobili) su quanto negli ultimi anni sia cambiato l’approccio degli adulti nei confronti dei giovani. 

Ad oggi sono più gli adulti che ritengono i giovani incapaci, che non hanno fiducia nelle capacità dei giovani, perciò sono le istituzioni che si trovano a dover premiare chi riesce, chi è abile in qualche cosa. Ma se si va a vedere l’entità di questa giornata, già il fatto di istituirla significa “ discriminare” le capacità dei giovani, dovendo addirittura andare a riconoscere, sottolineare ed enfatizzare quello che fino a poco tempo fa era scontato.

Ma qual è la realtà?

Ma la realtà dei fatti è ben diversa: i giovani, oggi, muovono l’economia, la cultura, il mondo artistico (a partire dalla street art che ha avuto il merito rendersi accessibile a tutti ed avvicinare l’arte ai giovani) e soprattutto quello dei new media, dove non hanno alcuna concorrenza, per una questione di conoscenza e affinità nell’utilizzo degli strumenti tecnologici più recenti. 

La maggior parte delle aziende che negli ultimi decenni hanno fatto grandi fatturati, poi, è stata ideata, guidata e orientata da e per i giovani (social network, gaming ecc.). Li abbiamo visti in prima fila nell’attivismo green, sul caro affitti, nell’emergenza alluvionale in Emilia-Romagna e sul loro lavoro si fonda gran parte del sistema di volontariato delle croci verde e rossa. 

La scuola e le punizioni

Infine, la scuola oggi richiede loro molte più capacità e competenze di una volta, sottendendo delle prestazioni molto elevate e riconoscendogli, involontariamente, capacità molto più alte di quelle richieste e riconosciute alle generazioni precedenti. In ambito di delinquenza giovanile si tendono a dare delle punizioni più esemplari, rispetto a quanto avveniva alcuni decenni fa, quando alcuni di questi eventi venivano catalogati come “ bischerate” e liquidati con una ramanzina. 

Adulti e giovani: cosa si faceva un tempo e cosa si fa oggi

La capacità dei giovani è forte, visibile e presente e va di pari passo con l’incapacità degli adulti di credere nei giovani, a causa delle eccessive aspettative che nutriamo nei loro confronti su quello che vorremmo che i giovani facessero, senza ricordare che quando eravamo giovani noi, i nostri genitori ci hanno permesso di entrare nel mondo liberamente, compiendo i nostri errori e facendo le nostre esperienze, senza richieste eccessive relativamente all’”essere” o al “fare”, ma dando per scontato un naturale e necessario periodo di transizione, adattamento e formazione, per giungere all’età adulta e, soprattutto, permettendoci di trovare il nostro posto nel mondo, in base alle nostre attitudini e capacità. 

Oggi, invece, gli adulti hanno aspettative nei confronti dei giovani (molto alte) e quando queste non si avverano cominciano le critiche, ma non critiche costruttive, bensì distruttive, che non fanno altro che innescare un circolo vizioso che impedisce alle capacità dei giovani di svilupparsi.

Perché gli adulti non riconoscono le capacità dei giovani?

I giovani, dunque, agiscono molto del nostro mondo, ma gli adulti non gli riconoscono queste capacità, e addirittura tendono (come è nella natura degli esseri umani) a sottolineare le mancanze piuttosto che quanto di buono viene fatto. Ma perché avviene questo?

Principalmente per insicurezza dei genitori, che hanno il bisogno di sentirsi una guida essenziale per i propri figli e per fare questo è più semplice immaginarli e catalogarli come incapaci, a cui si deve dire sempre cosa fare, piuttosto che affrontare a un certo punto del viaggio, la paura di essere inutili, di “perdere” i propri figli, di non servire più.

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