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L’artrite e le malattie psicosomatiche: cosa sono e come nascono, le caratteristiche psicologiche dei pazienti e la capacità di adattarci

 L’artrite reumatoide: cos’è?

L’artrite reumatoide è una malattia autoimmune, in cui il sistema immunitario va contro il corpo, vale a dire che vi è un’eccessiva produzione di anticorpi che non riconoscono le cellule sane del proprio organismo e ritenendole dannose le attaccano. Come nella maggior parte delle malattie, anche l’artrite reumatoide ha un’origine psicosomatica.

L’origine psicosomatica dell’artrite

Diversi studi hanno evidenziato che chi soffre di artrite reumatoide si trova in uno stato di tormento interiore, è eccessivamente cosciente del male, timorosa della critica, depressa con frequenza e con una cattiva immagine di sé stessa.

 Il Dr. Robert Fathman, psicologo clinico di Dubli, Ohio e il medico Norman Rothermich, professore presso l’Università Statale dell’Ohio, intrapresero uno studio per valutare i tratti di personalità di pazienti con artrite reumatoide.

Le caratteristiche psicologiche dei pazienti affetti da artrite reumatica

Tendenzialmente, questa tipologia di persone, tende a negare lo stato di tormento interno con “va tutto bene”. Molti di questi pazienti sono passati inoltre per una situazione prolungata di tensione o rabbia durante la loro vita, eppure si ostineranno ad affermare che tutto è perfetto, anche se ciò dista molto dalla verità. 

Vi è un accentuarsi degli impulsi sessuali, ma essi non vengono ascoltati, semmai ipercriticati, se non addirittura negati alla coscienza. Il bisogno di combatterli si fa più disperato e aumenta la necessità di dominare e controllare la propria aggressività così generata. La paura della scarica erogena, accresciuta dalla paura della soddisfazione sessuale, conduce allora all’invalidità motoria. In ultima analisi, in questo tipo di persone vi sono sentimenti di rabbia repressa e soprattutto rabbia verso se stessi.

Come avviene il processo psicosomatico

Gli esseri umani, infatti,  hanno costruito nel tempo, attraverso le esperienze, degli schemi di selezione/elaborazione delle informazioni dell’ambiente e di produzione di risposte. Questi schemi corrispondono a precise sequenze di neuroni, che sono “tracciate” nel nostro sistema nervoso e che costituiscono le memorie delle esperienze e gli stereotipi di pensiero e comportamento. 

Può accadere che l’Io abbia avuto un problema esistenziale che non è riuscito a risolvere, quindi ha tentato di dimenticare e rimosso del tutto. Il soggetto dunque esclude tutti i riferimenti che potrebbero far ricordare quel fatto. La memoria si è cicatrizzata, il soggetto si è immunizzato per non soffrire quel problema, la cui persistenza lo avrebbe portato in continuo stress, ma ad un certo punto della vita, per qualsiasi accadimento, il problema viene fuori come forma alterata organica, perché ormai si è somatizzata su un organo specifico.

La plasticità sinaptica e la capacità di adattarci

Secondo l’originarietà con cui la natura ha creato questo meccanismo, dovremmo essere sempre flessibili nell’adattarci ai cambiamenti dell’ambiente, grazie alla possibilità di passare fluidamente da uno schema all’altro, da uno stereotipo all’altro. Si sceglie lo schema di “interpretazione” della situazione che corrisponde all’esigenza dell’hic et nunc. I neuroni, cioè, non sono definitivamente saldati fra loro in quel modo, ma creano delle connessioni temporanee, momentanee, che poi si spengono perché se ne attivino altre. In termini neurobiologici, ciò è reso possibile grazie alla proprietà del nostro sistema nervoso nota come “plasticità sinaptica”: il modo in cui i neuroni comunicano fra loro e stabiliscono connessioni è in grado di modificarsi e plasmarsi in base alle esperienze sensoriali a cui vanno incontro.

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