Gli eventi più recenti hanno certamente sconvolto e toccato ognuno di noi. Prima la pandemia poi la guerra, che sentiamo quanto mai vicina, il senso di impotenza e forse di pericolo costante si insinuano in tanti. Abituati ad essere al centro del nostro mondo e a limitare il relativo confine alle nostre relazioni, eventi di questo tipo ci rammentano che siamo parte di un tutto che si muove al di là del nostro IO, che rinforza soprattutto un NOI, nel bene e nel male. NOI nel quale non sempre ci rispecchiamo completamente per scelte e per azioni (c’è chi vuole e chi non vuole la guerra) e quindi spesso diventa un NOI nel NOI.
L’essere umano è costituito da parti e una di queste è narcisa, vale a dire innamorata dell’immagine che ha di se stessa, dell’idea dei propri comportamenti, modi di fare, modi di parlare, modi di pensare. Questa parte è fondamentale perché permette di credere in se stessi, di riconoscerci autoefficaci. Quando però l’IO allarga i propri confini, ecco che il nostro mondo si ferma, smette di negoziare nelle relazioni, ascoltare e accogliere il diverso, tutto è concentrato sul proprio protagonismo. Inizia quell’insopportabile “io ho fatto, io ho detto, io ..io…io…io sono sempre disponibile a tenere i miei nipoti e tu neanche dici grazie, io devo continuare a seguire l’azienda perché mio figlio non è capace..”, si comincia a cercare il colpevole della nostra infelicità “tu hai detto che io non sono capace ad usare il computer, tu mi fai sentire inutile…”.
La vita però è sempre pronta a ricordarci che le nostre esistenze sono collegate le une alle altre. Per la specie umana infatti il NOI risponde al bisogno primario di appartenenza, appartenenza che permette protezione e tutela del gruppo. La storia inoltre ci racconta che è nella cooperazione che abbiamo trovato la strategia per diventare la specie dominante del pianeta. Ecco perché troviamo soddisfazione nell’aiutare chi ha bisogno e in questo momento storico ancora di più volontariamente decidiamo di agire per rispondere alla chiamata dell’appartenenza. Che tocca da una parte le corde dell’IO – in quanto si rinforza l’idea di noi stessi come esseri in grado di generare piacere all’interlocutore – e dall’altra rinforza il NOI – perché ci sentiamo partecipativi di un gruppo, parte di un tutto in grado di incidere sul mondo, anche sulla guerra o perlomeno sulla sofferenza che causa.
Partecipare ha anche un effetto di difesa, ci permette di tollerare quel senso di impotenza e paura che gli eventi incontrollabili generano. È una strategia che, insieme ad altre, andrebbe attuata in momenti come questi. Ne suggeriamo alcune:
- restare lucidi per leggere la realtà e non ancorarsi all’emotività dell’altro, anche perché se ci si lascia travolgere si diventa poco utili.
- sostenere lo stato d’ansia, partendo dal presupposto che la guerra, così come la pandemia, è un evento incontrollabile, che non dipende da noi e che non possiamo controllare.
- evitare overdose di notizie e scegliere pochi momenti di esposizione durante la giornata a fonti attendibili.
- consapevolizzare la situazione nel qui e adesso senza mai perdere il focus dal proprio quotidiano.
- sviluppare una visione, ricordandosi che il supporto che forniamo ad una persona o situazione, avrà delle conseguenze più allargate; un po come dire “il battito d’ali di una farfalla altrove diventa uno tsunami”.
Chiudo ricordando una frase di Madre Teresa di Calcutta che sintetizza perfettamente l’importanza dell’IO e del NOI nel perfetto equilibrio che essi devono mantenere: “…quello che noi facciamo è solo una goccia nell’oceano, ma se non lo facessimo l’oceano avrebbe una goccia in meno”.