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Il periodo della pandemia, con il susseguirsi delle restrizioni alla libertà individuale e ai momenti di gioiosa socialità, rappresenta un momento di grande importanza per osservare noi stessi e le relazioni che intratteniamo, con occhi nuovi.

Alcune interessanti ricerche scientifiche condotte nel corso del 2020 ci mostrano come, la prolungata e forzata condivisione degli spazi, insieme alla drastica riduzione delle possibilità di dedicarsi ad attività “altre” rispetto alla coppia, portino ad un acuirsi delle tensioni tra i partner. Per una coppia che vive insieme da molti anni, come nel caso di pensionati, i rischi sono maggiori. Se da un lato ci sono ormai abitudini di convivenza consolidate dall’altra il compagno di viaggio diviene scontato e a volte percepito di ostacolo al proprio benessere.

Che cosa.

I limiti imposti dall’esterno alla piena espressione delle potenzialità dell’essere umano agiscono quindi come spinta rivelatrice, come catalizzatore di dinamiche già presenti all’interno della relazione e della convivenza. Dopo un’iniziale e piacevole “riscoperta” di nuovi momenti di condivisione di coppia che prima della pandemia trovavano espressione fuori di casa (colazione al bar con gli amici, gite fuori porta nel fine settimana, corsi di ginnastica e momenti di relax fuori casa,…) diventa più evidente che non possiamo trovare nella relazione a due la piena soddisfazione di tutte le parti della nostra personalità. Improvvisamente, anche le convivenze più durature e consolidate rischiano di renderci insofferenti o di perdere in energia.

Perché?

L’essere umano è un “animale sociale” e ha bisogno di un più grande numero di stimoli rispetto a quelli che un’altra persona, da sola, gli può fornire; Molti pregiudizi sono associati alla parola “solitudine”: nel linguaggio comune, essa viene spesso confusa con “isolamento”, ma la radice latina della parola ci rimanda ad un orizzonte ben diverso. “Sollus” significa “che da sé forma un tutto, un intero”, un universo che è completo in sé stesso e che, in certi momenti, può incontrare l’altro per il piacere di farlo.

La solitudine non è quindi sinonimo di abbandono, inutilità o separazione dagli altri, ma piuttosto un’opportunità di scoprire nuove cose, di fare conoscenza con nuovi aspetti di sé stessi. Nel momento in cui non teniamo a mente questi due punti, rischiamo di fare confusione e di mettere su noi stessi e sul nostro partner delle aspettative. Spesso inconsciamente, iniziamo a forzarci in situazioni a due quando, in verità, sentiremmo pressante il bisogno di stare da soli o di fare un’attività diversa in compagnia di altre persone. Parallelamente, poi, ci aspettiamo che il partner risponda alla totalità dei nostri bisogni di socialità o di riconoscimento, anche quando, magari, lui/lei avrebbe voglia di dedicarsi ad altro.

Il problema delle aspettative, positive o negative che siano, è che non sono realistiche. Esse non si sviluppano a partire da un’analisi oggettiva della realtà, ma da quella che noi immaginiamo, più o meno consapevolmente, che la realtà debba essere. E questo, sia verso noi stessi, sia verso gli altri. Proprio perché non realistiche, le aspettative deludono. Si continua a proiettare sul partner a qualsiasi età e seppur ci raccontiamo che ormai non ci aspettiamo più niente dall’altro accade che in fondo a noi stessi sia presente quella speranza che qualcosa di diverso accada anche da “molto” adulti.

Come ritrovare un equilibrio sano?

Spostare il focus su me stesso/a: di cosa avrei davvero voglia o bisogno in questo momento? Quali soluzioni, proposte o attività posso mettere in piedi in totale autonomia dal partner per soddisfare questo mio bisogno? Il semplice fatto di immaginare e realizzare soluzioni creative per far fronte alle nostre necessità individuali, accresce il sentimento di autostima e di autoefficacia. Accettazione serena della realtà delle cose che non dipendono direttamente da me. L’altro non ha la possibilità di soddisfare tutti i nostri bisogni di essere umano, tutte le parti della nostra personalità: è importante imparare a riconoscere e verbalizzare il nostro bisogno individuale e, parallelamente, apprendere ad accettare ciò che l’altro ci dà per come viene, senza giudizio.

Conclusione

La pandemia, dunque, non unisce né divide ma, con tutte le sue restrizioni, difficoltà, insofferenze e dolori, ci porta anche degli aspetti “buoni” per noi, delle occasioni importanti per focalizzarci e per riscoprire chi è l’essere umano. Chi sono io, di cosa ho bisogno, come mi relaziono al mondo.