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Sentiamo sempre imputare ai giovani che non hanno voglia di fare nulla, che pensano solo a stare dietro ad uno schermo e che non si trovano più lavoratori affidabili in molte mansioni. Sono tantissimi inoltre gli imprenditori che rimbalzano su giornali e tv, al grido che in un momento di recessione e disoccupazione altissima, sembra impossibile assumere manovalanza, perchè i ragazzi oggi appaiano incapaci al sacrificio.

Nella giornata mondiale delle capacità dei giovani abbiamo voluto indagare su questo tema: diceria o realtà?

Generazioni e cambiamenti

Innanzitutto, a seguito dell’accelerazione tecnologica, le generazioni, che prima si susseguivano a ritmo di 25 anni, sono sempre più serrate. Pertanto, sul mondo del lavoro come nella vita quotidiana, si trovano a stretto contatto persone dalla forma mentis totalmente diversa, con tutte le difficoltà di comunicazione che ne consegue.

I baby boomers (nati dal ‘46 al ‘64) hanno potuto godere di una forte ripresa post guerra e di un’economia prospera. Oggi i loro figli possono beneficiare di sicurezza e agio finanziario del nido familiare, in contrasto con l’incertezza del mondo lavorativo che li attende fuori.  Questa generazione, i cosiddetti millennials, hanno imparato dalla frustrazione e dall’insoddisfazione dei loro genitori che vivere per lavorare non è la scelta corretta.

Tutto ciò, associato all’illusione dei lavori considerati maggiormente desiderabili e alla dimestichezza con le nuove tecnologie, delle cui dinamiche applicate al mondo del lavoro sono quasi gli esclusivi depositari, ha cresciuta una generazione molto più consapevole, capace e alla ricerca di una diversa modalità di lavoro.

Giovani e lavoro

La generazione Y (come vengono chiamati in sociologia i millennials), in un mercato che permette loro di scegliere, è finalmente in grado di dare il giusto peso a vita e lavoro. Questo a però portato a un moto di scarsità di figure operative e manovali, che ha messo in ginocchio interi settori aziendali.

D’altro canto, i giovani oggi hanno imparato a convivere con la fluidità del mercato del lavoro, che è stata loro imposta, e a cavalcarla: hanno imparato a fare impresa con una vita più corta ma non per questo meno efficace. Sono molto più orientati al business e ai rapporti umani, a causa di una volatilità delle merci ma anche dei rapporti stessi, che gli impone di consumare velocemente ed essere pronti subito ad una nuova pietanza, una nuova moda, una nuova sfida.

Possiamo superare questa distanza? Forse non è davvero possibile, ma i “grandi” hanno l’obbligo di aiutare i giovani a vivere in maniera più profonda quella consumabilità di rapporti, merci ed emozioni, che è tipica del tempo in un cui le nuove leve sono cresciute, ma non è l’unica modalità, proprio ora che la generazione Z, quella dei nativi digitali, è pronta a entrare nel mondo del lavoro, rivoluzionandone ancora una volta le dinamiche.

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