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Una caratteristica importantissima delle lingue antiche, che a noi moderni sfugge, era la musicalità. Il greco e il latino si mostravano quasi come un discorso cantato, che aveva la sua naturale e migliore espressione nella poesia: in essa si esprimevano i concetti più profondi della sapienza antica, i poeti erano maestri di verità.


In virtù dell’importanza e del fascino della parola presso gli antichi, ecco che ben presto ci si è interrogati sulla natura delle parole. Per Platone nel Cràtilo “le parole non derivano da una convenzione meramente artificiale: se furono istituite lo furono, come prova l’etimologia, per analogia con la natura delle cose che sono destinate a designare. Per le lettere (i suoni) da cui sono composte esse sono un’imitazione delle azioni che caratterizzano tali cose.” (Lèon Robin, Storia del Pensiero Greco).


Lo studio dell’origine delle parole, l’etimologia, è ben antico, come attesta Platone “e uno strumento per andare nel profondo delle parole e nel profondo di noi stessi è l’etimologia”.

Le parole cambiano la realtà perché ispirate da un dio – curiosità.

La parola è costituita di vari elementi, di cui fondamentale è la radice. Per radice in comune si intende che una parola ha la stessa origine di un’altra, condivide cioè la stessa matrice linguistica, che resta immutata.


L’aggettivo italiano “fatuo” origina dal latino “fatuus” che vuol dire “io dico sciocchezze” e dal verbo “fatuor” “io sono ispirato dalla parola di un dio nelle mie qualità profetiche”. Entrambe presentano la radice fa- che ha a che fare con parola. Ad una profonda analisi etimologica, si comprende che quelle che possono essere giudicate sciocchezze sono spesso parole profetiche, dettate da un dio. Dio che per gli antichi poteva essere Faunus, per noi moderni potrebbe essere la nostra anima. Attraverso la parola che ascoltiamo, che nasce da noi, possiamo far affiorare ed esprimere ciò che siamo. I mantra e le preghiere hanno in comune la parola ripetuta all’infinito, che modifica lo stato interiore, fino a concretizzarsi in un cambiamento di atteggiamento della persona.

Verbo e aggettivo (fatuus e fatuor) condividono la radice anche con il verbo latino “fari” che significa “dire” e con fatum, il fato, ciò a cui né uomini né dei si possono opporre e che non è altro che la parola voluta e detta, pronunciata, che ha la forza di determinare la realtà. Appunto le parole determinano la realtà.

Da questi semplici accostamenti nella lingua latina, possiamo già chiederci che cosa sia effettivamente in italiano l’essere fatuo, sciocco. Lo siamo per davvero? O ciò che sembra tale agli altri non è altro che l’autentica voce della nostra anima?

Come per i latini l’essere fatuus poteva sembrare essere sciocchi…. agli occhi di chi non comprendeva il senso profondo della parola di un dio. Si può essere così stolti da ignorare la profezia di un dio? O, per noi moderni, della nostra anima?

Ma questa radice latina fa- va ancora oltre. Se guardiamo il verbo latino “fari” menzionato sopra e tutti gli altri vocaboli, senz’altro vediamo altri accostamenti. Fari ha la stessa radice del verbo greco phamì, (attico phemì) che significa “io dico”, come fari in latino. (In questo caso a un ph-greco corrisponde un f- latino).

Ma phamì e quindi anche fari, condividono la radice con il sostantivo greco “phaos”…. luce! I nostri antenati vedevano in effetti identità tra luce e parola! D’altra parte sempre in latino abbiamo il verbo “declarare” da cui il nostro dichiarare, con le parole ovviamente. La derivazione da clarus, splendente, è evidente. Dire quindi come possibilità di chiarire, di esprimere, uscire dal buio. La parola infatti è propria della specie umana e la differenzia da tutte le altre specie.


Latino e greco: lingue morte? Siamo partiti dall’aggettivo italiano fatuo e tramite accostamenti etimologici con il greco e il latino abbiamo scoperto il senso profondo e originario della parola….., abbiamo scoperto un mondo vastissimo in cui abbiamo finito per incontrare qualcosa di noi, forse la voce della nostra anima attraverso il confronto con quelle parole.

Le parole sono come una finestra aperta su una parete: se ci affacciamo oltre, scopriamo un mondo profondo e vasto, il nostro mondo, la nostra anima, oltre la parete.

Questo lo vediamo attraverso l’etimologia, una parola moderna, ma che deriva dal greco etymon (il significato profondo di una parola), e dagli aggettivi eteos ed etymos: “vero”.


Ha un senso definire greco e latino lingue morte?

Quando muore una lingua? Senz’altro quando scompare il popolo che la parlava e scompaiono anche tutte la tracce documentali di essa, in pratica scompare ogni memoria di essa. Solo così muore una lingua.

Ma le lingue greca e latina continuiamo a parlarle ogni giorno attraverso la nostra lingua, sono il terreno su cui affonda le radici la nostra lingua.

Il greco e il latino sono inoltre sempre vivi nella loro forma originaria, in tutti coloro che studiano, leggono nelle fonti originali e parlano ancora oggi queste lingue sentendo passione profonda. Non potrebbero essere più vive! E lo sono sempre state per noi italiani: il nostro Umanesimo parte dallo studio dei testi della tradizione latina e anche il Rinascimento non avrebbe potuto essere tale senza di essi.

Contributo redatto con la preziosa collaborazione di Flavio Librizzi, studioso di latino e greco antichi, gennaio 2021.


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