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Per tutta la vita mi sono chiesta se fare sport ad alto livello mi stesse togliendo qualcosa, o me lo stesse dando. I sacrifici, le rinunce, le limitazioni: chi decide di stare al tuo fianco sa che c’è questa presenza ingombrante che non ti abbandona mai, il motore che ti muove in (quasi) tutte le tue azioni, anche quando nessuno lo comprende, la molla che ti fa alzare in piedi al mattino, la reason why. Eppure – visto che non sei una professionista – non ti basta una strada: ne devi battere due, tre, mille, e devi tenere bene a mente, sempre, il dopo.

Ci sono le gioie, certo, i successi, le esperienze da condividere, gli obiettivi raggiunti, le vittorie all’ultimo secondo, i rigori parati e quell’abbraccio di tutta la squadra che ti soffoca, le 13 città in cui ho vissuto, le persone che ancora abitano il mio cuore, usi e costumi, cucine del territorio e dialetti. Ecco, la mia personale geografia è costituita da un’infinità di rettangoli verdi dislocati in ogni angolo del nostro splendido paese, dalle persone che ti sorridono o ti offendono, ti offrono qualcosa di loro o ti tirano i sassi, con infiniti accenti. 

Ma ci sono anche i fallimenti, gli obiettivi mancati, gli errori, le occasioni perse, i 29 sul libretto, le nottate in bianco tra le lacrime, le ossa rotte, le persone che ti hanno tradito e deluso, i “non ce la farai mai”, gli infortuni, quando pensavi che non ti saresti mai rialzata, i muri buttati giù a testate, gli stipendi non pagati, le domeniche in famiglia di cui non conosci il sapore, la valigia sempre aperta sul comò, gli affetti che hai dovuto lasciare e tua figlia che ti sorride sempre dietro lo schermo di uno smartphone.

Dopo 20 anni sui campi ogni dannato giorno, ti dicono che non ti resta niente, che in tutte quelle ore avresti potuto prendere altre tre lauree, girare il mondo, guadagnare tanto, stare con la tua famiglia. E invece qualcosa la stringi tra le tue mani: un bagaglio ricchissimo di strumenti, che sono quelli per cui le aziende investono fior fior di denari per formare le loro risorse, e tu, semplicemente, li hai acquisiti facendo la cosa che ti riesce meglio, che ami di più al mondo: volare da un palo all’altro, essere d’aiuto alle compagne, buttarti nella mischia, sbucciarti il ginocchio e rialzarti. Ogni volta.

Alla fine, una risposta certa non ce l’ho, forse sono semplicemente vere entrambe: il calcio mi ha tolto e mi ha dato tanto. Ma quello che è inconfutabile è che lo sport sia una gigantesca palestra di vita, nella quale puoi incontrare fallimento e successo, senso di inadeguatezza e senso di onnipotenza, obiettivi, avversari e compagni. Fai un pezzo di vita a combattere accanto a qualcuno, e il momento dopo è un tuo “nemico”; e c’è solo un modo per ottenere risultati certi, a medio- lungo periodo: dedizione e lavoro, attenzione maniacale ai dettagli e amore per ciò che si fa. 

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