Le spie sono allarmi interni che indicano un cambiamento rispetto ad uno stato di equilibrio dato, esattamente come le spie dell’auto. Un primo cambiamento a cui fare attenzione è l’emotività, che racconta molto di ciò che viviamo e soprattutto delle reazioni che gli eventi generano in noi. Le spie possono essere di diverso tipo, noi ci occuperemo di quelle emotive.
Può accadere che si presentino stati o periodi di tristezza o noia, come ad esempio il desiderio inesorabile di stare sul divano pur non avendo compiuto azioni stancanti. Quando – all’apparenza – non esistono motivazioni valide che giustifichino la presenza di quell’emozione o stato d’animo, allora siamo in presenza di una spia emotiva.
Quando parliamo di motivazioni valide, intendiamo motivazioni che hanno un peso rispetto a ciò che ci aspettiamo dall’idea della nostra vita.
Ogni essere umano, infatti, costruisce le proprie idee, e quindi le aspettative su di sé, sulla base dell’educazione ricevuta, della cultura di riferimento, del temperamento personale. Quando queste aspettative non si realizzano, l’essere umano vive la frustrazione che si palesa attraverso la spia, l’allarme. Nel momento in cui si ascoltano le spie emotive, si entra nell’analisi e correlazione tra aspettative, valori che ne sono alla base, e regole interne che ne permettono la concretizzazione.
Ad esempio, un professionista arriva in studio, raccontando di un senso di angoscia che si presenta costantemente da un paio di mesi (ecco la spia emotiva) e che attribuisce ad un aumento del carico di lavoro e niente di più. Durante l’incontro emerge il quadro di una persona che non riesce ad andare a casa se non dopo almeno 10 ore, che lamenta un gruppo di lavoro poco performante e sempre in richiesta del suo intervento senza guadagnare autonomia. Il tutto raccontato ovviamente con estrema serenità!
Ma per quale motivo accade questo?
Nell’analisi delle convinzioni/valori del soggetto, emerge che il valore del sacrificio sia prioritario e che si appoggi sulla convinzione che “un responsabile si può definire tale quando arriva per primo in azienda e va via per ultimo”.
La regola dunque che dà concretezza al valore del sacrificio è basata su una presenza costante e continua del responsabile in azienda, ed è legata inoltre alla sua capacità di risolvere le problematiche, che però ingombra e per questo impedisce al gruppo di lavoro di crescere in autonomia.
La convinzione che lo abita è pervasa dal sacrificio e limita la percezione di se stesso lavoratore, solo nella veste di un eroe che non lascia spazio alla possibilità che la vittima impari a salvarsi da sola, e soprattutto non permette a se stesso di vedersi nel ruolo di responsabile lasciando emergere altre caratteristiche di sé.
La domanda da porsi in questo caso è “cosa sto facendo di buono per me passando tante ore al lavoro?” Le risposte possono essere diverse, ma ci porteranno sempre alle nostre aspettative e regole interne. Quando si presentano regole troppo stringenti, che non lasciano spazio alle alternative o che fanno dipendere da altri la realizzazione di un valore, vuol dire che esse rispondono ad un’aspettativa costruita su di un’idea di noi, non su ciò che “siamo”. L’essere, in questo caso, non coabita con ciò che agiamo.
Si diventa maggiormente sensibili alle spie emotive quando c’è una distonia tra una vita biologicamente e socialmente accettata e riconosciuta e una vita psichicamente evoluta, che richiede appagamento in quanto esseri (umani) sulla Terra, anime che cercano realizzazione e senso del proprio esistere, laddove una domanda costante sui propri “perché” esige risposta.
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